Hüsker Dü Database
Magazine articles & interviews

Rockerilla #54, Feb 1985

This interview with Bob and Grant appeared in the Feb 1985 issue of Italian independent rock magazine Rockerilla (still being published as of late 2007). A full image of the magazine's two-page layout appears below, followed by a transcription of the text for readability/searchability. The interview was conducted in the US (Hüsker Dü had not yet at that time visited Europe), at Maxwell's in Hoboken NJ, probably at one of the three post-Zen Arcade dates played there in during the latter months of 1984 (see footnote below). The accompanying band photo, uncredited, resembles a New Day Rising-era publicity shot ("il batterista grasso" indeed), but was likely taken by the article's author, Italian music journalist Guido Chiesa.




LA RIVOLUZIONE PERMANENTE
di GUIDO CHIESA

     Hanno tre album all'attivo, un quarto è di prossima uscita, sono in tre e vengono da Minneapolis; hanno fatto uno deipochi capolavori del 1984, uno dei dischi fondamentali della storia del recente rock (è saltato dalla mia playlist per una dimenticanza del tutto personale). Si chiamano Husker Du e fino a pochi mesi fa, sebbene loro stessi non amassero questa etichetta, venivano catalogati hardcore punk. Ma, fin dall'uscita del loro doppio Zen Arcade, gli Husker Du hanno attirato l'attenzione del pubblico e della critica, fuori da ogni etichetta e barriera ghettizzante. Parlano una lingua dura, dura come il freddo glaciale di Minneapolis. Meritani più attenzione, più di quanta sia stata, finora, a loro perlomeno concessa da un pubblico troppo legato ai pregiudizi che il vecchio hardcore si portava dietro (pregiudizi molto spesso meritati). Gli Husker Du, pur rifacendosi in parte alla tradizione di quella musica, si ricollegano altrettanto evidentemente alle matrice più pure del suono elettrico: Jimi Hendrix, i MC5, gli Stooges. Non aspettatavi teste di mohicano o giacche di cuoio ai loro concerti. Gli Husker Du sono gente semplice, dura come la classe sociale a cui appartengono e la vita che spetta ai giovani non-inseriti nella società reaganiana del midwest americano.
     Gli Husker Du hanno la possibilità di avere un impatto straordinario sulla gioventù americana e non, sia musicale, che culturale. Così come Black Flag, Meat Puppets, Minutemen, gli Husker hanno saputo rispondere alla sterile ripetitività delle formule punk con un radicale giro di boa che li ha portati a toccare territori musicali ben più rischiosi e selvaggi. Dagli Husker poi ci si può aspettare di tutto come canzone acustiche e a-soli di chitarra da venti minuti. Sono l'unico gruppo hardcore a venir fatto suonare al Maxwell's di Hoboken (dove li abbiamo intervistati). E sono una delle poche band che, senza essere hardcore, riesce ad attirare i fans di quella musica ai suo concerti.
     Gli Husker Du sono un gruppo rivoluzionario.

Scheda

     Gli Husker Du sono Bob Mould, l'intelletualle, cantante e chitarrista della band, produttore della etichetta Reflex di proprietà del gruppo medesimo, grande appassionato di wrestling; Grant Hart, il batterista grasso e capellone che veste magliette psicedeliche; Greg Norton il bassiste che assomiglia a D'Artagnan e non parla mai.
     Hanno tre lp (Everything Falls Apart, Land Speed Record, Zen Arcade), un pacco di quarantacinque (tra cui spica la loro versione di Eight Miles High dei Byrds). Incidono per la SST, etichetta dei Black Flag da cui sono stati ampiamente aiutate.

Intervista

Da dove viene il nome?
GH:
Significa 'puoi ricordare?' in scandinavo.
Dove l'avete trovato?
GH:
L'abbiamo preso al volo nell'aria fredda.
E cosa significa il titolo del vostro più recente lp, Zen Arcade?
GH:
A essere onesti bisogna dire che ci piaceva il suono delle due parole messe insieme.
BM: Una arcade è una sala giochi e il concetto dello zen è quello di trovare se stessi; trovar se stessi in un videogame. E' un concetto che piaca molto ai ragazzini.
Zen Arcade è quello che negli anni '60 si chiamava un concept album (Tommy, Sgt Pepper, ecc) con tanto di tessuto narrativo alle spalle. Voi non avete battuto il versante narrativo quanto quello filosofico. Perchè avete scelto un progetto così arduo?
GH:
Avevamo molte canzoni sul medesimo tema e ci è venuto spontaneo unirle sotto un unico concetto. Era un tipo di lavoro che da molto tempo nessuno faceva più E' la vicenda di un ragazzo che decide di lasciare la casa in cui viva e passa attraverso varie esperienze di vita: canta inuna band, si arruolo nell'esercito, ha esperienze di tipo spirituale e con allucinogeni per poi svegliarsi e accorgersi che era tutto un sogno.
BM: Le canzoni erano state scritte prima che l'idea venisse fuori. I temi, insomma, erano pre-esistenti. In fin dei conti Zen Arcade rappresenta un po' ciascuno di noi tre.
Siete interessati alle filosofie orientali?
GH:
No, ma crediamo che ci sia un concetto di karma in tutte la civiltà. L'amore che dai è quello che ricevi, ciò che se ne va ritorna.
Un brano di Zen Arcade porta il titolo di Hare Krsna: il vostro riferimento à critico?
GH:
Si, è di tipo critico. La canzone parla degli Hare Krishna così come appaiono al pubblico, come di un fatto di costume.
BM: Le nostre canzone sono dele piccole storie, che raccontano ciò che vediamo, capiamo o possiamo vedere e capire. Le band che io preferisco nella storia del rock sono proprio quelle che considerano le canzoni come degli specchi, in cui mettono se stessi. E altrettanto che parlano con onestà e realismo della società e della vita in essa. Storie vere, ecco cosa sonole nostre canzoni.
I primi due album avevano testi molto più rivoluzionari e d'attacco, mente il terzo vi vede molto più introspettivi e moderati.
GH:
Per prima cosa la rivoluzione bisogna farla a casa propria. Qualche volta la puoi portare oltre la porta, altre volte non ne hai bisogno.
BM: Siamo cresciuti. All'inizio ci siamo trovati a chiederci fino a che punto potevamo fare casino. Quando poi maturi capisci quali sono i tuoi veicoli migliori. Non posso continuare a cantare della bomba o dei ricchi per tutta la vita, queste cose non mi sono vicine, non influenzano direttamente la vita di un adulto. Quando avevo vent'anni ero in cazzato per queste cose. Ora che ho capito come penso e come stanno le cose, ho voglia di parlare di qualcos'altro, magare più vicino a me e che forse posso aiutare a cambiare. E' tutto un discorso di maturazione credo.
Credite che ciò che è successo nella vostra mente abbia a che fare con i cambiamenti avvenuti nella vostra musica?
BM:
Sono due aspetti complementari. La nostra musica è decisamente diventata più sofisticata e in termini fisici suonare è un fatto più emozionale ora che nel passato. Abbiamo capito che non bastava cambiare la parole. Un nuovo slogan, qualsiasi slogan, non fa una buona canzione. Se vuoi avere un reale effeta sulla gente devi riuscere a combinare la due cose.
Siete noti come una band iperattiva e estremamente prolifica.
BM:
E' la nostra vita, il modo in cui siamo. Se non sei sensibile alle cose che ti succedono attorno, è naturale che non hai nulla di cui scrivere. Se vedi una rosa puoi constatare che è una rosa o iniziare un processo di implicazioni che ti fa pensare. E' una questione di saper astrarre dalla realtà al fine del poterla interrogare. E' questa attività che ci porta a scrivere molto.
E cosa vuol dire questa processo in termini musicali?
GH:
Che più suoni meglio suoni o hai più opportunità di cambiare, di crescere, di migliorare.
BM: Siamo cosi cambiati nel corso di soli tre dischi perchè abbiamo imparato quali sono i nostri limiti e i nostri percorsi. E' una faccenda di coraggio: ci troviamo spesso a dirci 'posso andare più in là, posse fare meglio'. I nostri pezzi sperimentali nascono appunto da una pura improvvisazione guidata da questo impulso base a non essere mai gli stessi.
Nelle note di copertina avete dichiarato che Zen Arcade è stato pressoché tutto registrato in prima battuta.
BM:
Abbiamo provato per un mese. Nob avremmo mai pensato che un brano come Reoccurring Dreams potesse durare cosi a lungo. Fu un puro aso.
Il concetta della jam sta ritornando nel mondo del rock. Cosa significa per voi fare una jam, suonare a ruota libera?
BM:
Significa molto. Noi siamo ensieme da quasi sei anni e vi sono un sacco di contatti mentali tra di noi che non possono essere spiegati a parole o con immagini. Tutto diventa pura intuizione.
GH: Se durante una jam mi accorgo di star facendo qualcosa che non ho mai fatto prima d'ora, quel qualcosa puoi star certo che mi resta in mente.
BM: La prima volta che registri una canzone c'è tutta la tua adrenalina che esce fuori. Non mi interesserebbe rifaria vente volti quando viene meglio. La prima volta è un fatto di vita, registraria diventa un documento storico.
GH: Ogni nostri canzone viene fuori in modo diverso di volta in volta. Tra il disco e l'esibizione live per noi c'è una differenza di vita, non di feeling o di impegno.
E' negativo il fatto di venire dalla provincia, da Minneapolis?
BM:
Credo che alla fine sia un vantaggio.
GH: Se non vivessimo lì le canzoni non sarebbero le medesime. In Minnesota, inoltre, non puoi uscire per alcuni mesi all'anno tanto fa freddo. Tutto tempo per suonare.
BM: Se vivi in una grande città su una delle due coste finisci con l'essere esposto ad un sacco di mode. Non hai tempo per le mode a Minneapolis.
Siete contenti di lavorare per la SST?
BM:
Ci sono stati dei problemi, ma li abbiamo sempre superati. E' una etichetta molto piccola, per cui noi siamo cresciuti insieme.
GH: Con la nostra etichetta, Reflex, cerchiamo di aiutare dei gruppi agli inizi, come i Man Sized Actions e gli Articles of Faith.
Come descrivete la vostra relazione con la hardcore-punk scene?
GH:
Noi siamo apprezzati da quel pubblico sebbene non facciamo parte di quella scena.
BM: Il fatto è che ci sono delle uniformi e tutti hanno la loro. Anni fa tutti vestivano la loro uniforme personale e nessuna regola era la regola. Ora non è più cosi. Se inizi a catalogare la gente per etichette stai facendo un'operazione molto limitativa, ne perdi l'individualità. E se sventoli una bandiera stai perdendo la tua di individualità. E' una via facile, ma anonima e priva di interesse. Ecco perchè a noi non è mai piaciuto il fatto di essere catalogati sotto qualsiasi etichetta.
GH: Non vogliamo patire le limitazioni di cui soffrono le hardcore band. Limitazioni musicali e ideologiche. A noi piace suonare per chiunque, non per una tribù di iniziati.
Avete fatto numerose cover di brani dei sixties (Donovan, i Byrds). Qual è la vostra relazione con quell'epoca?
GH:
Il nostro interesse sono quelle canzoni, non l'epoca. Sono canzoni che ci sono sempre pisciute e abbiamo deciso di suonarle spogliandole di ogni relazione intenzionale con l'epoca. Credo che noi potremmo fare una grande cover del coro dell'Alleluia, ma non credo che qualcuno si sognerebbe di chiederci qual è la nostra relazione con l'epoca in cui è stato scritto. I sixties ora sono cosi in voga che mi fa schifo. Non credo che ci sia nulla di male nell'imitare, ma bisogna anche essere capaci di offrire qualcosa di nuovo.
BM: Il ritorno ciclico delle epoche c'è stato.
GH: La cosa che più piace degli anni '60 è che non sono quelli '70.
BM: ... e non sono nemmeno quelli '50 che in fin dei conti erano come i '70...
GH: ... e già ci sono i segni del ritorno degli anni '70.
Quale sarà la vostra prossima direzione?
GH:
Non lo stabiliamo mai a priori. Il nuovo disco che abbiamo già registrato e che uscirà alla fina del mese*, con il titolo di New Day Rising, si stacca in parte del concetto di Zen Arcade. Non è un concept album, non c'è una storia. In termini musicali noi speriamo di aver fatto un ulteriore passo avanti. E' in parte un ritorno ad una musica veloce e dura come quella dei primi album.
BM: Con Zen Arcade ci siamo liberati di una parte delle nostre voglie musicali: ora è tempo di cambiare.

* The reference to NDR being released "at the end of the month" suggests that the interview took place at one of the late December (29 or 31) 1984 Maxwell's shows, as the album came out in Jan 1985.

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